lunedì 2 marzo 2009

Congedo

I

Si scorge un volto…un altro…un altro ancora
nella nebbia che muta a diradarsi.
Ma so caduchi i contorni comparsi:
delebili son come le tinte dell’aurora.

C’è stata una figura
incisasi a solco profondo;
non quali quelle intraviste la sera:
le frammentate sagome
di là della ringhiera
oppure il cenno d’un amico vago,
a volte menzognero.

Ebbe passi contati
questo viaggio insieme percorso
e spesso entrambi ci pestammo i piedi.
Non penso che al tempo trascorso
(quanto fu breve!):
le battute, gli scambi d’opinioni,
i minuti a fissarsi senza redini
che imbrigliassero la ragione, il greve
dibattere e la resa
(per lo più mia).

II

Ricordo dopo il notturno scirocco
la torbida acqua alta a Venezia.
Tu, di mattina, avvinta al pozzo, il tocco
delle parole imploranti soccorso.
Non c’ero. Come l’acqua che si screzia
ad ogni passo, era il mio sguardo
che tentava lontano
sopra un ponte attorniato dall’ostile marea.
Non c’ero. La tua voce giunse invano
a me; qualcun altro però la colse,
a te subito accorse.
Forse questo rammarico tuttora
mi preme dentro e lievita in lamento.
Sono tanti gli amari
pensieri che sostano bruschi
e si fanno palude nella mente.
Ma nulla van togliendo ai giorni cari
in cui la memoria si invischia.

III

Adesso?
La viuzza recisa in dirupo
si para alla vista di netto.
Il cammino che ci ha condotto
pare un cupo vaneggio.
Bendato, non preso per mano, è stata
la voce a propormi la strada,
il bastone che mi sorregge
ha riempito le dita mie di schegge.
Ti osservo scendere prudente il greppo
a qualche roccia sporgente aggrappandoti;
sono appigli sicuri
tanto a loro ti affidi
ma ancora non comprendo: sei tu che ti allontani
o sono io che resto qui fermo?

È deciso così:
io troppo codardo per scendere,
l’orgoglio non ammette
mi coglie a questa altezza la vertigine;
tu libera di proseguire
per altri luoghi, respirare aperti
spazi e godere di intatte visioni
ma senza dover leggere le facce del delirio.
La trama ora il capitolo conclude,
l’illusione vanisce,
un’altra stagione si schiude
intrisa di rara speranza.

IV

Domani?
Attendo si riveli
lo sfogo di un’atrofica esistenza,
uno sbocco a cui s’incanali
il mio passo fremente alla partenza.
Mi si porrà, senza avviso, ad un angolo
salvandomi al martirio
di me stesso. Un fango m’avvinghia,
tarda i miei movimenti:
è l’accettata scelta dell’esilio.


Chissà, diverse sponde
conserti indurranno i sentieri.
E non c’è sofferenza, né rancore
ma sereni si placano
i moti opposti e la divisa mente.
Per ora solo un motto mi segue in ogni dove.
Da una bocca interiore d’improvviso
s’impone e fiata:“Altrove…”

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